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AVVISO MAPPATURA SERVIZI COMUNALI POLITICHE GIOVANILI

Dipartimento - Famiglia Regione Sicilia - Mer, 11/05/2014 - 10:04

AI COMUNI DELLA REGIONE SICILIA
Il Dipartimento regionale della famiglia e delle politiche sociali ha predisposto un questionario rivolto alle Amministrazioni Comunali per rilevare i relativi servizi erogati nell'ambito delle politiche giovanili con l'obiettivo di creare una banca dati regionale.
Il questionario è raggiungibile al seguente link.
La scadenza per la sua compilazione è fissata il 28.11.2014.

A Gaza Italia e Palestina s’incontrano per i diritti delle persone disabili

Rete italiana disabilità e sviluppo - Mar, 06/03/2014 - 10:05

COMUNICATO STAMPA

A Gaza Italia e Palestina s’incontrano per i diritti delle persone disabili

 Giovedì 29 maggio 2014 EducAid in partenariato con FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha organizzato a Gaza City un incontro per celebrare la ratifica da parte dello Stato di Palestina della Convenzione sui Diritti delle persone con disabilità e per discutere sui prossimi passi da compiere per applicare appieno la Convenzione stessa.

Secondo EducAid e FISH questo è un momento particolarmente favorevole per agire sulle istituzioni pubbliche anche in vista della formazione del nuovo Governo Palestinese atteso ad ore.

Hanno partecipato all’incontro tutte le organizzazioni di persone con disabilità della Striscia di Gaza ed un nutrito numero di organizzazioni non governative palestinesi ed internazionali che lavorano nel settore.

All’incontro ha partecipato Pietro Barbieri, in quanto esponente di spicco del movimento delle persone disabili in Europa, portavoce del Forum Terzo Settore in Italia ed ex-presidente di FISH. Nonostante la sua disabilità è riuscito a superare le barriere costituite dal check point di Erez, unico accesso alla Striscia venendo da Israele.

Cuore della discussione la Convenzione che indica al Governo le modalità per implementare efficacemente la Convenzione stessa: i governi devono nominare un referente per la Convenzione che annualmente dovrà redigere un rapporto sulla reale situazione dei diritti delle persone disabili che deve essere trasmesso alle Nazioni Unite.

La società civile ha un ruolo altrettanto importante dovendo redigere un rapporto ombra che, come il precedente, va inviato alle Nazioni Unite.

Come ha affermato Pietro Barbieri, “le organizzazioni possono imparare molto dagli incontri necessari per elaborare il rapporto ombra; gli consente di capire il fenomeno della disabilità nel suo insieme, sviluppare un discorso comune e imparano ad essere efficaci nel rapportarsi con le istituzioni e con la società nella quale vivono.”

 31 maggio 2014

EducAid – Cooperazione e aiuto internazionale in campo educativo
www.educaid.it FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap
www.fishonlus.it

Il ruolo della comunicazione nei progetti delle Ong

Rete italiana disabilità e sviluppo - Ven, 05/30/2014 - 00:58

Pubblicata sul suo blog  chiamato “Gong“, Nicola Rabbi condivide la sua intervista a Massimo Ghirelli, consulente per la comunicazione dell’Unità tecnica Cooperazione del Ministero degli affari Esteri.

L’articolo fa parte di una monografia pubblicata sulla rivista Hp-Accaparlante intitolata “Make development inclusive – Quando la cooperazione allo sviluppo si occupa di disabilità nei paesi poveri”.

Che ruolo ha o dovrebbe avere la comunicazione per le Ong e per tutti coloro che fanno interventi nei paesi in via di sviluppo?
Più che una questione d’importanza è una questione di necessità. Sono migliaia purtroppo gli esempi di cooperazione, anche buona, che non raggiungono i loro scopi perché non viene tenuto conto in maniera giusta e completa l’aspetto comunicativo. Ti faccio l’esempio di un intervento che facemmo in Niger con i Tuareg che riguardava la costruzione di un ospedale. Non avevamo pensato che in Africa le donne non vanno in ospedale e che quindi, se non si faceva un lavoro d’informazione e di comunicazione, spiegando per quale motivo ne valeva la pena (per ragioni di infezione, igieniche…), tutto sarebbe rimasto lì come una cattedrale nel deserto.
Ma fuori dell’edificio c’era un grande parcheggio che era stato trasformato dai famigliari dei pazienti in un villaggio di capanne. Tutto questo era ovvio e naturale: non avevamo pensato al fatto che mai in Africa una donna sarebbe stata lasciata da sola in ospedale e che quindi, attorno a quella persona, ci sarebbero state intorno tante altre persone diverse che, venendo da lontano, avrebbero poi dovuto fermarsi a dormire lì. In quei casi perciò o fai una stanza comune o, come è stato fatto, adibisci a dormitorio il parcheggio. Questo è stato un caso lampante di mancanza di comunicazione adeguata.

Nell’ambito della cooperazione la comunicazione è sempre stata vista e molto spesso ancora oggi viene trattata come un argomento di secondo livello e quindi considerato un di più, una cosa marginale e perciò, ancora peggio,qualcosa che si fa nel momento in cui il progetto è fatto e finito, a volte confondendolo con una parolaccia come “visibilità”, che di per sé non sarebbe una parola sbagliata, nel senso che bisognerebbe far vedere quello che si fa ma che in realtà viene intesa solo come buona immagine di quello che si fa nella cooperazione italiana. La visibilità spesso non ha nulla a che fare con il buon progetto, la visibilità non è comunicazioneFino a non molto tempo fa questa parte era considerata molto marginale dalle Ong.
È anche vero che le Ong, stando più vicine al territorio ed essendo espressione di parti della società civile dovrebbero avere ancora più ragioni per capire e per utilizzare una buona comunicazione, per informare prima di tutto i donatori del territorio e le persone che vi partecipano. Le Ong, inoltre, avendo per controparte società civili o piccoli villaggi, comunque non solo istituzioni, dovrebbero fare in modo che questi interlocutori capiscano bene e che soprattutto siano loro a comunicare qualcosa su quello che si aspettano, su come vedono il progetto e su come lo vogliono gestire.

Nel mio lavoro spesso mi sono trovato a mettere delle pezze a progetti in cui c’era una piccola quota riservata alla comunicazione e a convincere gli altri che costituiva invece una parte integrante del progetto. Questo è un elemento raramente compreso, le Ong un pochino ci sono arrivate ma non tutte e soprattutto non ci è arrivata l’istituzione.
La nostra Direzione si è dotata di Linee Guida per la comunicazione; una volta consistevano in un manuale su come si fa la targa, su cosa deve esservi scritto, l’adesivo e tutto il resto; un po’ abbiamo superato questa ipotesi ma anche le Linee Guida attuali, sono solo un punto di partenza per cominciare a parlare di altri aspetti. La comunicazione, per cominciare, deve essere fatta in entrambi i luoghi da parte di vari partner, in patria, e da parte del cosiddetto beneficiario, beneficiario che deve essere partner anche della comunicazione e quindi avere gli strumenti per comunicare. I progetti devono avere non soltanto la partecipazione ma anche il consenso sociale senza il quale il progetto non ha senso.
I progetti stessi in molti casi dovrebbero essere intesi come progetti di comunicazione e non come la comunicazione rispetto ai progetti, sono due cose diverse: i progetti di questo tipo ancora abbastanza rari. Si potrebbe cambiare in questo modo l’intero sistema delle comunicazioni dei paesi in cui si attua il progetto, dalla formazione dei giornalisti alla legge sulla stampa e così via.

Al momento sono in atto progetti di questo tipo? Voi ne curate qualcuno?
Ce ne sono ma si contano sulle dita di una mano. Ho seguito un centro di documentazione per un sindacato di comunicazione in Sud Africa ai tempi della fine dell’apartheid e più recentemente la ristrutturazione di un’agenzia palestinese, la Wafa, un’agenzia stampa che all’epoca era una specie di servizio stampa di Arafat che aveva sede a Gaza e ora ha sede a Ramla. Abbiamo fatto anche un media center, in collaborazione con le Ong e con l’Arci a Belgrado, in una situazione complicata come i Balcani. Negli ultimi anni questi progetti vengono appoggiati anche dai direttori delle UTL (Unità Tecniche locali). In alcune UTL, ho scritto dei progetti come “Comunicare la comunicazione”, quindi intesi proprio per far questo, come riuscire a comunicare bene e chiedersi: “Che strumenti ha l’UTL per farlo?”. Di qui la necessità di dotarsi di un sito, mettere insieme i donatori, le Ong e gli altri partecipanti in rete, in discussione, per comunicare quello che si fa e per farli partecipare e anche organizzare mostre, eventi sulla cooperazione.
Adesso in Palestina si sta lavorando, dopo tre anni di attività, alla terza fase del progetto “Comunicare la comunicazione” e a Gerusalemme, finalmente, si faranno dei corsi di aggiornamento per giornalisti. In un paese particolare come quello di Israele, si tratta di operare per dare degli strumenti soprattutto per lottare, per avere una legge sulla stampa più aperta, considerando il fatto che i giornali possono essere chiusi in qualsiasi momento.
In generale c’è ancora pochissimo attenzione sulle possibilità di stampa e televisione indipendenti. Lo stesso vale per l’Iraq, dove non c’è un UTL ma c’è la Task Force Iraq, organizzazione, il nome lo fa capire, che prima era militare-civile mentre adesso, da qualche anno, è completamente nelle mani della nostra Direzione Generale alla Cooperazione allo Sviluppo. La Task Force, soprattutto in questa fase, in cui si sta piano piano pensando di lasciare il paese, deve raccontare quello che sta facendo e ha fatto. Si tratta comunque di progetti di grande interesse in una situazione difficile come quella della guerra. Progetti di capacity building,di comunicazione interna, progetti che vanno a formare le istituzioni locali, progetti di patrimonio culturale, ambientali, tutta una serie di progetti in cui la comunicazione ha un ruolo centrale. Anche lì, se non c’è consenso, partecipazione e conoscenza dei fatti nulla può funzionare.

Continua la lettura sul blog di Nicola Rabbi “Gong”

 

In Israele e Palestina, per sostenere le disabilità: Unitalsi e Fish uniscono le forze

Rete italiana disabilità e sviluppo - Gio, 05/29/2014 - 13:58
Tre giorni di incontri tra Betlemme e Gerusalemme, con le massime autorità israeliana e palestinesi per progettare iniziative condivise. “La disabilità diviene mezzo per abbattere ogni barriera culturale”

Fonte: superabile.it – Unitalsi e Fish incontrano le autorità palestinesi e israeliani competenti in materia di disabilità: dal 26 al 29 maggio, tra Gerusalemme e Betlemme, Salvatore Pagliuca e Pietro Barbieri, rispettivamente presidente e coordinatore delle due organizzazioni, sono al lavoro per mettere le basi di progetti e iniziative destinati a palestinesi e israeliani disabili, ma anche per favorire la partecipazione delle persone disabili ai pellegrinaggi in Terra Santa.

La delegazione Unitalsi-Fish ha incontrato due giorni fa, a Betlemme, la Società Antoniana ed ha vistato l’Hogar Nino de Dios, la Caritas Baby Hospital. La Giornata si è chiusa con l’incontro con alcune associazioni di disabili. Ieri, a Gerusalemme, l’incontro con la municipalità della città, con il Patriarca Latino, Fouad Twalecon e la Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). Oggi di nuovo a Betlemme, per l’incontro con il sindaco della città, Vera Baboun e con il responsabile di tutte le scuole del Patriarcato in Palestina ed Israele, Padre Fayesal Hijazin per un confronto sul tema delle barriere architettoniche nelle scuole. Si chiude con l’incontro con Edmond Shehade, direttore del Basr (Bethlehem Arab Society Rehabilitation).

Per Salvatore Pagliuca, si tratta di “un’occasione per dare un segnale forte di vicinanza e di solidarietà alle popolazioni che vivono in Terra Santa soprattutto quelle più svantaggiate come le persone disabili. Crediamo che questa iniziativa congiunta con la Fish – conclude – possa rappresentare un segno concreto per costruire quella pace che ha invocato Papa Francesco proprio in questi luoghi”. Per Barbieri, “la disabilità diviene così il mezzo per abbattere ogni barriera culturale, religiosa e geografica e grazie alla collaborazione con l’Unitalsi siamo convinti di potere portare un nuovo modello di solidarietà e di promozione dei diritti delle persone disabili nell’area medio orientale”.

 

Disabilità: l’Italia alla conquista di Bruxelles

Rete italiana disabilità e sviluppo - Mer, 05/28/2014 - 11:02

Il Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, Giampaolo Cantini, ha presentato ieri a Bruxelles il Piano d’azione dell’Italia sulla disabilità e lo sviluppo inclusivo adottato nel 2013 dal Ministero degli Esteri. L’obiettivo: condividere con la Commissione UE e gli Stati membri strategia e buone pratiche nell’ambito del dibattito internazionale sull’Agenda per lo Sviluppo Post-2015.

di Joshua Massarenti

Fonte: vita.it

Tra poco più di un anno, gli Obiettivi del Millennio lanciati nel 2000 dalle Nazioni Unite andranno in archivio per lasciare spazio a una nuova agenda per lo sviluppo, chiamata “UN’s post-2015 Development Agenda”. Chi possiede un minimo di domestichezza con le agende politiche internazionali come quelle dell’ONU, sa che gran parte delle decisioni più importanti si prendono molti mesi prima di quando vengono ufficializzate. E il settembre 2015, quando a New York si riuniranno i capi di Stato e di governo per sottoscrivere nuovi impegni a favore dello sviluppo sostenibile e della lotta contro la povertà, è dietro l’angolo. Come tanti altri paesi, l’Italia ha fretta.

Tra le sfide che la Farnesina intende portare al centro dell’attenzione, ci sono i diritti dei disabili, troppo spesso ignorati nelle politiche di sviluppo portate avanti dalla Comunità internazionale. Dopo aver sottoscritto la Convenzione ONU sui diritti delle Persone Disabili, l’Italia ha deciso di assumere la leadership politica sul tema della disabilità adottando nel luglio 2013 un Piano d’azione ad hoc con lo scopo di assicurare la piena implementazione della Convenzione adottata dalle Nazioni Unite nel 2006 e stabilire un quadro che garantisca il sostegno alle categorie sociali più vulnerabili ed emarginate. Ma senza alleati forti a livello globale, queste ambizioni rischiano di diventare carta straccia.

Per questo, la DGCS ha organizzato assieme alla Rete Italiana Disabilità e Sviluppo (RIDS) una conferenza presso la sede del Comitato economico e sociale europeo, a Bruxelles, con l’obiettivo di condividere con la Commissione UE, gli Stati membri e la società civile strategia e buone pratiche sulla disabilità nell’ambito del dibattito internazionale sull’Agenda per lo Sviluppo Post-2015. A dirigere la delegazione italiana era il Direttore Generale della DGCS, Giampaolo Cantini.
Direttore, che bilancio trae da questa conferenza?
L’obiettivo fondamentale era quello di presentare una buona pratica della Cooperazione Italiana ma soprattutto di condividerla con le istituzioni dell’UE – in particolare con la Commissione- nonché con gli Stati Membri e le organizzazioni della società civile. C’è stata una presenza importante di rappresentanti della Cooperazione Tedesca, Spagnola e della Commissione, tutti attori che osservano con grande attenzione le buone pratiche messe in atto dall’Italia a favore dei disabili. Ora si tratta di mettersi insieme, di creare un partenariato tra Istituzioni, Stati Membri, organizzazioni della società civile e soprattutto i nostri paesi partner per sviluppare un’azione comune: non solo per rafforzare le componenti di disabilità nei programmi di sviluppo ma anche  per mettere a punto degli strumenti di lavoro.
Nel concreto che cosa significa?
E’ opportuno sviluppare degli indicatori – i cosiddetti ‘markers di efficacia’ – simili a quelli adottati in altri settori, come ad esempio le tematiche di genere, elaborando a  monte dei dati su quanto è stato fatto. Sembrano obiettivi tecnici di poca importanza, ma l’elaborazione di una serie di target e di indicatori accresce la possibilità di includere la disabilità come un tema centrale di inclusione sociale, cruciale per le opportunità per l’impiego, anche nell’accesso a servizi sociali essenziali come l’istruzione e la sanità. In altre parole, ci consentirebbe di portare la disabilità al cuore dei futuri obiettivi di sviluppo sostenibili. II momento è opportuno per unire le forze e sviluppare un piano comune e sollevare questi temi nelle sedi internazionali. Ad esempio l’OCSE  DAC potrebbe essere la sede per un lavoro tecnico sui dati, sulla loro disaggregazione e sull’elaborazione di indicatori e di marker di efficacia.
In che modo l’Italia intende sfruttare il prossimo semestre europeo per portare avanti questa strategia?
A parte i gruppi di lavoro specializzati ed il dialogo sempre costante con le organizzazioni della società civile, direi che abbiamo due importanti finestre: la preparazione di una posizione comune dell’UE sull’agenda post 2015 e le opportunità che si offrono a noi per promuovere una comunicazione pubblica di larga scala. Penso al semestre di Presidenza dell’UE che spetta all’Italia tra luglio e dicembre 2014 e all’Anno europeo per lo sviluppo previsto nel 2015.
Perché l’Italia ha deciso di puntare sulla disabilità?
Intanto perché la cooperazione italiana ha sempre avuto una forte caratterizzazione nel sociale e perché esiste un dialogo molto forte con le organizzazioni non governative ed in particolare con RIDS, la Rete Italiana Disabilità e Sviluppo con la quale abbiamo elaborato il piano d’azione. E’ un piano d’azione della cooperazione italiana ma in realtà è stato realizzato in maniera congiunta dalla DGCS e RIDS.
Le alleanze sono importanti per rafforzare un tema così particolare nell’agenda politica europea ed internazionale. Quali sono gli Stati membri pronti a seguirvi?
Oggi abbiamo avuto una testimonianza molto interessante della cooperazione tedesca, che ha elaborato un proprio piano d’azione, sviluppando azioni molto concrete.  Anche  i colleghi spagnoli ci hanno sostenuto nell’obiettivo di sollevare questi temi nel negoziato sull’agenda post 2015. Sicuramente altri Stati membri stanno sviluppando azioni in questo senso, ma la conferenza ci ha offerto due insegnamenti preziosi: esistono forti potenzialità, ma è necessaria un’azione di raccordo.

(articolo redatto in collaborazione con Evelina Urgolo)

La Farnesina pensa a una Banca per lo Sviluppo

Rete italiana disabilità e sviluppo - Lun, 05/19/2014 - 10:56

Il consigliere politico del Viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, lancia la proposta su Vita.it in vista della riforma della legge 49 sulla cooperazione internazionale: «Care ong cosa ne pensate?»

di Emilio Ciarlo

Fonte: vita.it – Dopo venti anni è arrivata la “volta buona” anche per la nuova cooperazione italiana. La riforma in discussione al Senato creerà uno strumento forte, innovativo, inaspettato ai più, per la promozione del nostro modello di co-sviluppo, per l’affermazione di una nostra visione più equa e sostenibile della mondializzazione, per la proiezione internazionale dell’Italia.

Personalmente lavoro su questa riforma da molti anni e credo che il testo ora arrivato in discussione sia l’occasione giusta per passare dalla semplice equazione “cooperazione-solidarietà” a quella “cooperazione-partnership-cosviluppo”. Ci siamo sforzati di costruire una cooperazione del 2000 che assuma in carico non solo la maledetta persistenza di povertà estrema in paesi low-income – spesso però anche in paesi più sviluppati e addirittura nei paesi ricchi – ma che si dà nuovi strumenti per far decollare le economie che hanno già percorso un pezzo di strada.

Per ottenere questo risultato – su questo sono d’accordo con Sergio Marelli – occorre mobilizzare risorse. Tante risorse. Bisogna sapere che non saranno sufficienti gli stanziamenti tradizionali dell’aiuto pubblico allo sviluppo (nonostante il percorso di “riallineamento previsto dall’art. 28  della nuova legge). Sarà necessario costruire un “sistema della cooperazione italiana”, delineato nel capo V, che coinvolga e faccia interagire virtuosamente le amministrazioni pubbliche con le Fondazioni bancarie, le organizzazioni non governative con  la cooperazione decentrata, le imprese private con la nuova Agenzia per la cooperazione. Eppure persino questo non basterà se non ci doteremo di strumenti professionali e agili, capaci di attrarre in misura ben maggiore le risorse europee, oggi appannaggio quasi monopolistico di francesi e tedeschi, e quelle delle istituzioni finanziarie internazionali. Probabilmente anche qualcosa in più come cercherò di proporre nelle ultime righe di questo intervento.

Direi, però, al caro amico Sergio Marelli, che nonostante l’importanza che ha la quantità di risorse, non si deve sottovalutare l’importanza della rivoluzionaria discontinuità “politica” e “istituzionale” del testo di legge che abbiamo preparato.  La cooperazione non sarà più solo “aiuto” né il Mae sarà relegato a una sorta di “charity” che la dispensa graziosamente. Istituiamo un vero e proprio piccolo “Consiglio dei Ministri della cooperazione” e prevediamo un Allegato della cooperazione al Bilancio, con l’intento di assicurare la famosa “coerenza delle politiche”, oramai richiesta dal’articolo 208 del Trattato di Lisbona, non solo tra le iniziative dei diversi Ministeri ma  soprattutto all’interno dell’azione governativa, tra le differenti scelte politiche ad impatto internazionale: quelle in campo ambientale, dell’immigrazione, economico e commerciale.

Assicuriamo un vertice politico permanente e identificabile, il Viceministro degli Esteri alla Cooperazione, che nel corso dell’esame in Parlamento cercheremo di trasformare in un “junior minister”, figura inedita per l’Italia, che parteciperà alle riunioni di Gabinetto su alcuni temi.

Abbiamo fatto consapevolmente la scelta di costruire un’architettura politico-istituzionale in cui il ruolo strategico centrale è assicurato alla Farnesina, preferendo avere una cooperazione “parte integrante e qualificante” della politica estera piuttosto che un Ministero della cooperazione cenerentola, debole politicamente e insostenibile in termini di spending review.

Mantenendogli il ruolo politico per eccellenza, in dialettica con il Parlamento, abbiamo però dotato il nuovo Maeci di un’Agenzia operativa, snella ed economica (2oo persone e un rapporto costi gestione/volume risorse negli standard internazionali), con autonomia organizzativa e di bilancio, sedi nei Paesi prioritari e uno staff giovane e professionale, che sottrarrà la cooperazione alla burocrazia delle procedure ministeriali (senza far venir meno la vigilanza) nonchè alla poco funzionale rotazione periodica dei diplomatici, inevitabile nell’attuale Direzione generale.

L’IDEA DELLA BANCA PER LO SVILUPPO
Torno però al punto delle risorse e lancio una provocazione su cui sto lavorando in questi giorni. A mio parere la riforma sarebbe monca se non compissimo l’ultimo miglio, se non dotassimo l’Italia, come Francia e Germania, di una vera Banca per lo sviluppo, un’istituzione pubblica, accreditata tra le Istituzioni finanziarie europee, autorizzata a progettare pacchetti finanziari attraverso il “blending” con i fondi comunitari (nonché di BEI, Banca mondiale e Banche di sviluppo regionali) o il matching con altre risorse e, in tal modo, capace di portare all’Agenzia per la cooperazione le risorse necessarie per fare il salto di qualità. Assicurando la direzione politica della Farnesina e la partnership indispensabile dell’Agenzia, si potrebbe immaginare nel concreto un Dipartimento specializzato e autonomo in seno alla Cassa Depositi e Prestiti, forse l’unica in Italia capace per statuto pubblico, solidità, affidabilità e know how di assolvere al ruolo. L’Italia avrebbe, in tal modo, uno strumento simile alla KfW Development Bank tedesca, “Business unit” all’interno del gruppo pubblico KfW, straordinaria leva finanziaria a servizio della cooperazione di Berlino capace di aggiungere ai fondi pubblici e a quelli europei risorse derivanti dalla propria raccolta (oltre 3 miliardi di euro). Social bond, bond dedicati allo sviluppo, finanza etica e innovativa, più risorse da Bruxelles: si aprirebbe un mondo nuovo per la cooperazione in termine di risorse disponibili, coinvolgimento dei cittadini e modernità di approccio alla nuova cooperazione. Credo si tratti di un’idea che merita un approfondimento.

L’emarginazione sessuale del disabile

Rete italiana disabilità intellettive - Ven, 10/18/2013 - 21:40

L’emarginazione sessuale del disabile intellettivo.  

Franco Lolli.

Affrontare il tema della sessualità nella disabilità intellettiva è un compito particolarmente complicato; il rischio di cadere in luoghi comuni o nella retorica demagogica (che si nutre di affermazioni di principio polically correct) è sempre molto alto. A rendere ulteriormente difficile il compito, bisogna considerare anche l'estrema indeterminatezza del concetto di disabilità intellettiva che, come sappiamo, racchiude al suo interno una varietà di quadri clinici cosi altamente differenziati da non consentire superficiali tentativi di catalogazione massificante. Occorre tenere presente, a questo proposito, che gli effetti di un ritardo mentale medio lieve sono inassimilabili a quanto si ha modo di osservare in caso di gravi e profonde compromissioni intellettive e che solo un’affrettata valutazione del fenomeno può associare configurazioni patologiche cosi eterogenee. Pertanto, anche sul piano della questione sessuale, l’estrema varietà delle forme morbose deve indurre ad una considerazione calibrata alle specificità del singolo caso che eviti il rischio di grossolane generalizzazioni.

Il pericolo, inoltre, di precipitare su posizioni ideologiche che, per quanto apprezzabili sul piano dell'enunciato, risultano sganciate dalla realtà e dalle problematiche concrete della disabilità intellettiva è facilmente accertabile: basti pensare alla ormai consolidata propensione a proclamare il diritto della persona disabile all'esercizio pieno della propria sessualità per verificare il conflitto che si instaura tra un principio incontestabile di uguaglianza (chi mai, oggi, oserebbe affermare il contrario?) e la sua difficile (e, direi, impossibile) realizzazione in un campo dell'esperienza umana nel quale bisogna fare i conti con un limite a volte insuperabile. Mi spiego: nel grande arcipelago della disabilita intellettiva, l'affermazione di un diritto deve essere sempre bilanciata dalla considerazione delle reali capacità del soggetto di esercitarlo. Pensiamo, ad esempio, al diritto all'autodeterminazione e alla sua necessaria riconsiderazione quando in gioco c'è la vita di una  persona con insufficienza mentale. La consapevolezza dei rischi a cui va incontro colui che non ha piena coscienza del mondo in cui vive relativizza l'anelito alla piena indipendenza del soggetto, forzando chi se ne prende cura a pensare piuttosto – come anni fa acutamente teorizzò Angelo Villa – ad un’autonomia ragionata, condizionata, guidata (con la conseguenza di smorzare in maniera significativa il concetto stesso di autonomia).

Progetto Comunita’ Blog – Tra esperienze di Lavoro e Tecnologia - Risultati della Ricerca Realizzata da Conform S.R.L. in Collaborazione con gli Altri Partners del Progetto

Comune di Palermo area disabilità - Mar, 07/16/2013 - 11:45
Nell’ambito del Progetto PO Sicilia FSE 2007-2013 - Avviso 1/2011. Progetto n. (CIP) 2007.IT.051.PO.003/III/G/F/6.2.1/0131 dal titolo COMUNITA’ BLOG – Tra esperienze di lavoro e tecnologia - CUP G75E12000410009, vengono resi noti i risultati della ricerca realizzata da Conform s.r.l. in collaborazione con gli altri partners del Progetto.

Customer Satisfaction del Servizio Pianificazione Sociale e Gestione Servizi Sociali Territoriali - Centro Anziani

Comune di Palermo area disabilità - Mer, 06/19/2013 - 12:00

Per l’ultimo quadrimestre 2012 si è iniziata la rilevazione della Customer Satisfaction in un singolo ufficio, in particolare si è scelto il Centro Diurno Anziani a Boccadifalco e si è predisposto per esso un questionario ad hoc (Vedi Allegato A).
Il Centro anziani fornisce ai suoi utenti una serie di attività ed iniziative programmate e scelte tenendo sempre presente le esigenze ed i bisogni dell’anziano.
Il questionario risulta utile per verificare l’efficacia delle attività realizzate.
Dal report allegato (Vedi Allegato B)emerge che i servizi erogati hanno trovato gradimento da parte degli anziani il 98% con una incidenza del 2% dei poco soddisfatti solo in ordine all’orario ed alla segnaletica del sito.Per tutti gli altri aspetti, si è registrata una soddisfazione totale 100% con punte del 75% di molto soddisfatti.

Questi dati ci permettono di programmare un prossimo consolidamento delle attività.

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La Rete Nazionale Disabilità Intellettiva

Rete italiana disabilità intellettive - Lun, 05/16/2011 - 19:47

 

LA RETE NAZIONALE DISABILITA' INTELLETTIVA
La Rete Nazionale è un associazione di fatto costituita da operatori che svolgono il proprio lavoro nell'ambito della cura del paziente con Disabilità Intellettiva. La Rete raccoglie l'adesione di coloro che intendono sviluppare un lavoro collettivo di ricerca, documentazione e studio fondato sulle proprie esperienze cliniche e terapeutiche messe a disposizione della comunità. L'attenzione rivolta alla soggettività della persona disabile si configura come il fattore centrale di convergenza teorica tra i suoi membri: la promozione di una presa in carico della persona disabile svincolata da logiche prestazionali, adattive e conformiste rappresenta la finalità principale della sua attività. Per questo motivo, la Rete si propone come luogo di costruzione di un sapere sulla disabilità che sappia coniugare le esigenze educativo-riabilitative al rispetto della dignità umana e dei più elementari diritti.



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